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TEATRO MUSICALE

Un avatar del diavolo

(2005) teatro musicale per due attori e live electronics su testi di Antonin Artaud tratti da “Pour en finir avec le jugement de dieu” e altri scritti (editore Gallimard), con una citazione da Visage di Luciano Berio (editore Universal Edition) [45’]

Prima esecuzione assoluta: XXLVI Festival Internazionale di Musica Contemporanea, Venezia, 30 settembre 2005, Arsenale, Teatro Tese delle Vergini)

Ideazione e musiche: Roberto Doati

Video: Paolo Pachini (attrici: Marta Paola Richeldi, Shila Anaraki)

Attori: Giorgio Bertan e Marta Paola Richeldi

Regia e montaggio del testo: Giuseppe Emiliani

Disegno luci: Mauro Marri

Sistemi e interfacce multimediali: InfoMus Lab, DIST-Università di Genova

Oggetti scenici di Charles Eames: vitra.

Citazione da Visage di  Luciano Berio: Universal Edition e Talia Pecker Berio

Commissione: La Biennale di Venezia

Realizzata con una borsa della MacDowell Colony

«Da questo scontro tra il disordine morale e l’anarchia cattolica, e l’ordine pagano, lo spettacolo può far scaturire inaudite conflagrazioni di forze e di immagini, costellate qua e là di dialoghi brutali. E questo attraverso lotte fra uomo e uomo ognuno dei quali porta in sé come stimmate le idee più opposte».

«Fare la metafisica del linguaggio articolato significa […] frazionarlo e distribuirlo attivamente nello spazio».

«L’accavallarsi delle immagini e dei movimenti condurrà, mediante collusione di oggetti, silenzi, grida e ritmi, alla creazione di un autentico linguaggio fisico, fondato sui segni e non più sulle parole».

«Ma anziché limitare queste dissonanze all’orbita di un solo senso, le faremo passare da un senso all’altro, da un colore a un suono, da una parola a una luce, da una trepidazione dei gesti a una tonalità piana di suoni ecc. ecc.».

Le citazioni da Il teatro e il suo doppio che ho scelto per accompagnare il progetto dovrebbero essere sufficienti a spiegare perché un compositore che da quasi trent’anni dedica la sua attività all’uso di nuove tecnologie per lo sviluppo di un linguaggio in equilibrio fra mimesi e astrazione, e silentemente votato all’invettiva, abbia pensato ad Artaud.

Ma d’altro canto la perenne preoccupazione che il significato di quanto faccio sia accessibile, mi spinge qui a ricomporre con un solo senso alcuni dei suoni, delle immagini e dei movimenti che insieme a Paolo Pachini e Giuseppe Emiliani abbiamo frazionato e  incrociato per dare vita a Un avatar del diavolo.

Il termine avatar (che in sanscrito indica una divinità incarnata) viene usato da Artaud, con il significato sia di “disavventura” che di “metamorfosi”, nel sottotitolo del suo ultimo testo “Pour en finir avec le jugement de dieu” diventa l’odierno “avatar” informatico, sorta di alter ego elettronico. Il titolo dello spettacolo intende infatti definire le fondamenta del progetto: l’idea del doppio (Dio alter ego di Lucifero? Gli escrementi alter ego dello spirito?) e il linguaggio elettronico (alter ego di Lucifero?).

La composizione musicale utilizza la tecnologia informatica per trasformare e proiettare in tempo reale nello spazio fisico, suoni e parole dei due personaggi in scena (Giorgio Bertan e Marta Paola Richeldi), in bilico continuo fra logocentrismo e melocentrismo. Tutto ciò senza nulla togliere al gesto, ai movimenti, all’articolazione verbale. L’aspetto visivo è infatti interlocutore privilegiato della musica, sia con video realizzati ad hoc, sia con l’uso di sistemi interattivi che consentono la trasformazione del suono attraverso il gesto degli attori. Nella quarta scena, ad esempio, l’attore si muoverà carezzando eroticamente una sedia degli anni ‘40 di Charles Eames (che insieme a un paravento dello stesso designer americano, prodotti da vitra., e una radio polacca degli anni ’40 costituisce i pochi oggetti scenici). Questi suoi movimenti produrranno trasformazioni della voce dell’attrice, generando anche sospiri di desiderio, di piacere e di angoscia, a seconda del tipo di gesto, “riconosciuto” dalla sedia grazie alla tecnologia messa a punto da InfoMus Lab (DIST-Università di Genova).

La scelta del testo potrebbe sembrare presuntuosa data la grande notorietà che gode nel mondo del teatro, ma la vera ragione risiede nel fatto che era mio desiderio riportarlo nel suo contesto originale. Il testo fu infatti creato da Artaud per la radiodiffusione, peraltro mai avvenuta perché incappata nella censura  (così come Visage di Luciano Berio che viene infatti citato nella quinta scena per gentile concessione di Universal Edition e Talia Pecker Berio), quindi utilizzando un mezzo che fin dagli inizi dell’esperienza elettroacustica è stato considerato privilegiato per la diffusione del nuovo pensiero musicale. Anzi, possiamo proprio considerare la nascita della musica concreta (Parigi, 1948) come liminare al lavoro di Artaud.

Il 4 settembre 1948, esattamente 6 mesi dopo la morte di Artaud, Wladimir Porché, direttore generale della Radiodiffusione Francese (RDF) nonché colui che pose il divieto di messa in onda di Pour en finir, inaugura il CER, centro di studi radiofonici per le trasmissioni sperimentali.

La Scena

Due attori in palcoscenico. Tre oggetti, tutti degli anni ’40 del XX secolo: una sedia e un paravento entrambi di Charles Eames (cortesia vitra.), una radio polacca. La sedia ha 3 microfoni nascosti che captano acusticamente i gesti compiuti dall’attore. Il paravento è dotato di sensori di prossimità che misurano i movimenti intorno ad esso. La radio ha due potenziometri e un interruttore MIDI, un sensore di prossimità. Tutte le informazioni che provengono dagli oggetti, sono trasformate in segnali MIDI per controllare la trasformazione delle voci in tempo reale. I video sono proiettati su 3 schermi: due sopra il boccascena, uno in palcoscenico.

Storyboard

Charles Eames plywood chair, 1946 (cortesia vitra.)
Charles Eames plywood screen, 1946 (cortesia vitra.)
Radio polacca (Anni Quaranta)
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TEATRO MUSICALE

Allegoria dell’opinione verbale

(2000) per attrice, live electronics e sistema interattivo EyesWeb [10’]

Prima esecuzione assoluta: Stagione Gran Teatro La Fenice, Teatro Malibran, Venezia, 26 settembre 2001

Attrice: Francesca Faiella Regia del suono e EyesWeb: Roberto Doati

La raccolta di testi di Gianni Revello da cui ho tratto quelli per questo lavoro, prevede una scelta libera per la sua lettura/esecuzione (L’esecuzione può consistere nella sola lettura – piana, non enfatica, o come si vuole – o anche assumere, con ogni modalità, forma musicale, o ancora assumere qualsiasi forma: visiva, scenica, altro – ogni altro codice di comunicazione), sia nel numero che nell’ordine. Nel compiere questa scelta ho realizzato un percorso attraverso nomi, luoghi, temi della mia vita che spesso ho condiviso con Revello. Sicuramente non ho costruito una storia con personaggi immersi in una drammaturgia; il mio obiettivo era rendere palese il non-senso occulto di una vita senza tradirne l’incongruità.

La protagonista è sola sul palcoscenico e pronuncia questi nomi, luoghi, temi, come se li vedesse dentro di sé, come se li ricordasse, ricordasse di averli conosciuti, vissuti. Ma con la coscienza dell’ineluttabilità dello svanire di queste immagini ad ogni parola, ogni nome pronunciato. Non può fare a meno di descriverle, ma sa che mentre lo fa il suo mondo interiore scompare, per questa ragione si osserva mentre parla, osserva il vuoto che c’è in lei, e che lei stessa sta creando mentre parla. Per questo lotta con la sua stessa voce sdoppiata: con il movimento delle labbra cerca di fermarla, la rallenta, la accelera, la rovescia, la deforma perché la realtà attraverso il senso della parola non esca da lei. Sa che la realtà è un escremento dello spirito (Antonin Artaud), e che descrivendola è come se evacuasse.

Ma alla fine ci rendiamo conto che il suo sé si è nel frattempo riempito dei “grassi semi” della nostra credulità. In una sorta di cannibalismo, si nutre quindi della spiritualità dell’ascoltatore, della sua delusione: è sufficiente per continuare a vivere.

Durante la performance l’attrice è seduta di fronte a un monitor TV, guardando se stessa; ma anche il pubblico vede il suo volto proiettato su un grande schermo in palcoscenico.

Per realizzare il sistema interattivo ho utilizzato un software realizzato dal DIST (Laboratorio di Informatica Musicale dell’Università di Genova). Grazie all’aiuto degli ingegneri del DIST, ho composto una patch che segue il movimento delle labbra (colorate con un rossetto blu) dell’attrice, e l’area, altezza e larghezza del rettangolo di ingombro di tale movimento, opportunamente convertiti in segnale MIDI, vengono inviati a una patch di CSound per controllare in tempo reale i parametri di una risintesi della voce della stessa attrice precedentemente analizzata con la tecnica di Phase Vocoder e salvata su file separati. Il risultato è una sorta di doppio in cui, oltre all’attrice dal vivo, si sente la sua voce modificata in velocità, direzione (diritto/rovescio), o ‘spezzata’ in 50 filtri, ciascuno con un ritardo o una trasposizione diversi.

Studio per Allegoria dell’opinione verbale. Attrice: Francesca Faiella

Testi tratti dalla raccolta ”Il titolo a piacere segue le note” di Gianni Revello

Le lettere in grassetto maiuscolo che compaiono nel testo indicano la presenza durante l’esecuzione di un elemento più o meno estraneo al contesto.

Se s’immagina che racconto la mia vita
solo per far passare il tempo a qualcuno.
Ancora quattro settimane prima ero una creatura.
Polvere di marmo, calore, fatica,
fulmini, tuoni. Scuotono gli orecchi-ni-chelati.
E corse a casa con la testa in fiamme. Questo è il Lavoro!
Pace. Si guarda il polsino,
che cosa sta facendo quell’ape che indugia attorno alla mia scarpa?

Biologia e computer.
Immaginiamo una città enorme,
in cui ogni casa abbia diecimila linee telefoniche,
che la connettono con diecimila altre case,
che se ne stanno a loro volta su banchi di corallo inestesi
non fuori del comune.
Come emerge dalle pubblicazioni popolari
“A proposito, come stai a denaro?”
il divario tra ciò che una cosa è
e cosa non è
tromba divien l’oggetto ov’ei risoffia.
Ricapitoliamo,
se gioca un bluff, posso giocarlo anch’io,
in che consiste la differenza?

Io, UUUUU, dico per esempio:
ora, appoggiato a un pilastro,
emetterò da più fonti ottantotto grida altissime
e un bisbiglio
‘Phà!
SSSSS
al centro della sala
lascia cadere giù i due sacchi.
Urla, fischi, trombette.
Non mi sembra che vi sia un nesso.

Venezia ciclopica immobile
scimmia dalla fisionomia sua mimetica
forata da poche finestre le gambe deformi
s’impone, puttanangola, a esempio edificante
l’uomo che ha sognato l’Atlantide
l’ha fatta anche scomparire

Il privilegio della coincidenza in Heisenberg,
trasmesso per calli e tempeste,
compare nelle lezioni di scienza divulgativa.

La fisica ha un’affinità
con l’inutile chiamata in una bizzarra commedia notturna.
Nulla scassinato all’alba.

Il fascino del vecchio attore, lo zoccolo.
La gioventù, lente le spalle,
che esige la palude del sapere.

Confesso
che comporre un titolo segreto
per voci, tromba fitta, frutti cavi
dà da
riflettere.

L’intellettuale ha una resistenza alla scelta del bagno
parallela a quella per la conversazione.
Sicuro inverno, bagno modesto.

Il silenzio, per TTT, è aberrante.
Comporre a misura d’ape,
lo strepito della fantascienza
– odori seducenti.

In mezzo agli strumenti,
la musica,
indipendente,
partecipa da lontano, media,
immediata,
per un pezzo bendato, non sospesa.

M gira,
vagamente nervoso,
alla riva
contempla l’infinito,
allegoria dell’opinione
verbale.

Circa nove mesi dopo
cadde in un sonno profondo, sulfureo.
L’inattività delle infiorescenze,
la linea squisita del mento e del collo,
brezza, etere, deriva.
Rapidamente diminuì il suo vocabolario.
Tra angeli di marmo,
fece un cenno al figlio, si turbò.
In breve tempo le buone leggi lo snervarono.
Dal microfono
a strattoni,
un eccentrico motivo
color rosso scuro.

Il respiro della vallata, a ponente,
bianchi rosicchiando anni, ordini,
sospeso, interrogativo, d’impermeabile.
VV riavvolto
chiama la musica del possibile
il genere pagato.
Lo diverte.
La tela di profilo.

Basta lacrime.
Il monte inginocchiato alla vallata.
Le feste lunari hanno il sapore sbattuto delle musiche moderne.
RR non ne capiva il canto, il respiro.

Un momento.
Attenzione.
Ritmo a balzi.
Lo spazio del classico.
Comprensione infantile, favolosa. PP.

Da un pezzo
il lettore sperpera i grassi semi della credulità
mentre brucia di delusione.
È sufficiente.